Lo sharenting: cos’è e quali sono i rischi

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Lo sharenting è un fenomeno negli anni sempre più presente e ha a che fare con l’eccessiva disinvoltura con la quale utilizziamo i social media, Facebook e Instagram primi tra tutti.

Sharenting, un neologismo anglosassone per i genitori

Gli inglesi o – meglio – gli americani, sono bravi nel cogliere prima di noi i nuovi fenomeni della società e nel dargli un etichetta precisa: ecco quindi che “share” (condividere) si fonde con “parenting” (l’essere genitori).

Cos’è lo sharenting?

Questo neologismo identifica la tendenza a ipercondividere su Facebook & C. tutto ciò che riguarda i propri figli e l’essere genitori: dall’allattamento, alla prima vacanza, all’uscita dall’asilo, all’abitino cool che sta così bene indossato a nostro figlio, alla dolcezza del pisolino.

Una tendenza che riguarda più i genitori “giovani”

Ma questo trend riguarda tutti i neopapà e le neomamme? Non proprio, perché i genitori più grandi di età e cresciuti senza social mostrano un po’ di “voglia di privacy” rispetto ai genitori più giovani e al primo figlio. Un po’ perché in generale già tendono a pubblicare per lo più opinioni e non foto personali (di vacanze, ecc…), un po’ perché soprattutto se al secondo figlio tendono a essere più concreti perché presi a gestire ben due piccoli terremoti.

I numeri (e non solo…) dello sharenting

Abbiamo numeri non italiani ma inglesi, precisamente della Parent Zone, associazione che ha misurato l’esposizione online dei bambini: mediamente un bimbo in un anno appare in 195 foto pubblicate dai propri genitori, entro i 5 anni saranno 1.000 gli scatti che lo ritrarranno.

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Un altro studio, americano (AVG), evidenzia che ben il 92% dei bambini americani di 2 anni ha – tramite i propri genitori – una presenza social.

In qualche caso sono star già prima di nascere, per via di ecografie condivise – a volte anche in diretta.

I rischi dell’ipercondivisione

Purtroppo il rischio maggiore non è quello di essere denunciati dai figli diventati maggiorenni (come accade in Francia) per violazione della privacy.

Soprattutto l’utilizzo troppo leggero dei tag espone a pericoli ben maggiori: è stato evidenziato che l’utilizzo di determinati hashtag ha permesso a delinquenti di utilizzare i volti per realizzare fotomontaggi e esporre le foto ritoccate su siti di pedofili. Ma non solo, anche la non consapevolezza delle impostazioni della privacy consente – anche a chi non ci conosce – di vedere e scaricare foto dal nostro profilo. La maggior parte delle foto sottratte viene recuperata direttamente dai profili social dei genitori.

Inoltre, più una foto ha successo e più diventerà virale: un qualcosa che sfuggirà di mano e non sarà più controllabile.

Rischi strettamente correlati per il bambino

Altri rischi, altrettanto importanti, sono connessi alla sfera psicologica del bambino: fin da piccolo si abitua a una sovraesposizione della propria immagine sui social, con relativo giudizio sulla propria popolarità che si basa sul numero di like e reazioni. Soprattutto più diventa grande, più aumenta il rischio che diventi ansioso e preoccupato di ciò che i genitori condividono.

Come prevenire lo sharenting e le sue conseguenze

In questo caso il problema lo creano direttamente i genitori, che vengono “sfruttati” dalla tecnologia: l’unica vera arma di difesa è la consapevolezza. Sapere cioè accadrà se si posta una determinata foto, con l’utilizzo di determinati tag e un’impostazione privacy dalle maglie troppo larghe.

Torniamo ad avere un po’ più di prudenza e dichiariamo l’orgoglio per i nostri figli anche in maniera più tradizionale, con foto dei nostri piccoli incorniciate e poste sulle scrivanie di lavoro, o sugli sfondi dei pc o – più semplicemente – tenendo una foto del nostro pargolo nel portafoglio (come si faceva una volta). E ricordiamoci che i nostri account social sono nostri e non dei nostri figli, i quali non hanno ancora la possibilità di dire di no e difendere la propria privacy.

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